Soup Opera

Paola Buzzini 1

La vita di Paola Buzzini alias Soup Opera è fatta per metà di cibo e metà di arte. Per essere precisi, per il 60% di cibo e per il 40% di arte.

Attraverso il cibo, infatti, Paola parla di cultura. E questa capacità è riuscita a trasformarla in un progetto con tanto di nome e cognome, il già citato Soup Opera. Paola mi risponde a tutte le domande (45 minuti di intervista telefonica, ndr) l’ultimo venerdì di settembre, in orario aperitivo (18.00), dalla sua bici, nel percorso lavoro-casa, quella casa dove l’aspettano i nipotini per un pigiama party.

Paola, nel tuo sito dici di essere una 35enne Millennial. Che significato dai a questa parola?

Un significato temporale. Mi ritrovo in quella categoria di persone nate in un determinato arco di tempo che si sono scontrate con una serie di cambiamenti legati al mondo del lavoro e all’utilizzo dei social media. In questo quadro emerge la precarietà lavorativa, che io vedo come qualcosa di stimolante e spronante in alcuni casi, ma se le cose non ti vanno così bene, questa precarietà diventa svilente.

Dici, inoltre, che tua madre non ha ancora capito il tuo lavoro. Ok, proviamo a spiegarglielo a parole semplici.

Dopo anni trascorsi nella comunicazione tradizionale dedicata all’arte contemporanea (ufficio stampa, corporate per le aziende), ho deciso di buttarmi in un mondo più evoluto dal punto di vista comunicativo. Era il 2015, l’anno di Expo a Milano. Ho riflettuto sulle mie competenze e pensato di trovare il modo per parlare di arte e creatività (la mia formazione) attraverso il cibo (trend del momento). Nessuno in Italia, fino a quel momento, aveva fatto questo tipo di ragionamento e intrapreso una simile strada. Da lì nasce il progetto Soup Opera.

Come hai mosso i primi passi con Soup Opera?
Contattando tutte le testate giornalistiche con cui mi relazionavo ai tempi di ufficio stampa per proporre loro una rubrica dove, attraverso una ricetta o spunti di ingredienti, parlavo dell’inaugurazione di una mostra in Italia e nel mondo. Ho tenuto, così da subito, una rubrica mensile su Vanity Fair e su Ottagono, rivista di design e architettura. Con il tempo ho capito che mi interessava di più raccontare le persone, il territorio o un particolare fenomeno legato al cibo, ed è quanto ho iniziato a fare con Munchies, magazine del gruppo editoriale Vice dedicato al cibo. Infine, con la possibilità che mi diede Expo di invitare, per una settimana, galleristi, artisti e curatori di musei e raccontare le personalità dell’arte in cucina, capii che l’aspetto eventi era una cosa che dovevo sviluppare maggiormente.

Paola Arte

E come hai sviluppato questa consapevolezza?
Potevo ideare concettualmente un progetto fino a metterlo in pratica, a volte con la collaborazione di agenzie, altre volte del brand che mi contattava o del museo stesso con cui collaboravo, altre volte da sola. Ho iniziato a coinvolgere il mondo digitale, come influencer non solo di food, ma anche di viaggi o altro, in base al progetto in atto. Infine con i corsi di food photography e styling, proposti allo IED a Roma, alla Mondadori e da Eataly, ho integrato la parte di education e didattica. Fino ad arrivare a oggi, momento in cui sto facendo partire una nuova tipologia di corsi.

Mostra I Castelli nell' Ora Blu istallazione Un Castello nel Cielo per Rene' , 1987 di Jan Fabre alla Capella Portinari (Duilio Piaggesi, Milano - 2018-09-21) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

Cosa riguarderanno?

Il corso in programma a novembre si chiama “Racconta un post(o)”. Cibo, viaggi e spazi alla Cascina Cuccagna, realtà nella quale si trova Il Cucinista e che racchiude tutti i temi che abbiamo scelto di avere in questo corso: ospitalità, food e location. Le ore saranno suddivise in una parte teorica legata allo storytelling, con testimonianze di esperti del settore, e una parte pratica di shooting dello spazio e del food.

colors Soup Opera

Ma tu hai una formazione da chef o sei autodidatta?
Non ho mai sentito il bisogno di diventare esperta in materia di cibo (come cuoca) per sviluppare Soup Opera. Negli anni ho comprato tantissimi libri, soprattutto di cucina orientale, che è tra le mie preferite; ho frequentato un paio di corsi in scuole di cucina a Milano su pasta fresca e lievitati. Ho fatto anche un corso alla Scuola di Gualtiero Marchesi, ma solo 4 appuntamenti di un percorso più lungo legato ai secondi.

Le idee di tutti i tuoi progetti come arrivano?
Prendo ispirazione dalle mostre, il design, l’architettura, le riviste, dalle testate soprattutto internazionali; guardo cosa fanno gli altri miei colleghi, le tendenze in corso, e trasformo tutto secondo i miei gusti per diversificarmi da un panorama molto omologato. 
Per esempio, con Tiritera Design, ho realizzato Tasting Colors, un album di tovagliette monouso in carta abbinate a tre menu monocromatici, con le quali cucinare le ricette e creare la tua tavola. Un modo di raccontare il mondo enogastronomico – ma anche l’aspetto healthy del cibo – con stile.

Quanto i social e il trend del food hanno influenzato l’avvio del tuo progetto?

In percentuale alta. All’avvio di Soup Opera ho capito che i social erano uno strumento che dovevo imparare a usare data la loro potenzialità. Mi limito comunque a raccontare la mia attività, non la mia vita privata. Soup Opera, senza l’aspetto digitale, sarebbe incompleto. Oggi, inoltre, il feedback online degli eventi da me organizzati interessa particolarmente al cliente. Il mondo del food, è vero, è di moda, ma del resto siamo la patria del buon cibo. Oggi è diventato un must della nostra cultura, è tendenza e continuerà ad esserlo.

Se tu fossi un piatto, quale saresti?
Non ho in mente un piatto preciso, ma direi che mi rappresenta una cosa leggera, vegetale, dai toni speziati.

Se tu fossi un’opera d’arte, quale saresti?

Un’installazione dei fratelli Chapman. Mi piace l’arte politica che trasmette un messaggio forte.

Collegandomi al naming del tuo progetto, quale zuppa proponi?

Sono amante di un classicone: zucchine, porri e patate. Buona anche quella di carote e zenzero, molto più semplice, dai toni dolci e un po’ piccanti.

Soup Opera

Completa:

- quale cibo degusteresti di fronte un Monet? 
Un’insalata con tanti germogli.
– cosa serviresti a tavola a Fontana?
 Ciò che associo a Fontana è la crostatina di Massimo Bottura. O comunque qualcosa che in apparenza può sembrare semplice, ma che nasconde una sorpresa.

- che cibo faresti dipingere a De Chirico?
 Un piatto di alta cucina che ricordi l’idea di un giardino zen: geometrico, pulito, ma con tocchi forti di colore.

A proposito di colori, quali non possono mancare nel tuo piatto?

Il verde sicuramente, il rosso (pasta con pomodoro), il giallo, perché sono amante degli agrumi, ma anche il bianco (amo la pasta e il riso in bianco).

Devi organizzare una cena a base di hamburger gourmet in un luogo d’arte. Chi chiami, quale hamburger fai mettere nel menu e che location scegli?

Come location sceglierei un museo con un giardino interno o una serra in dialogo con l’esterno. Come hamburger proporrei l’impossible burger ricreato in laboratorio (che purtroppo in italia non si può ancora degustare). Lo chef più indicato potrebbe essere Davide Scabin, in ricerca continua nella cucina sperimentale.

Paola, ti aspetta un pigiama party con i nipotini. Cosa prepari?
Stasera, su loro richiesta, pizza con pasta da me preparata. Per lo spuntino di mezzanotte biscotti con gocce di cioccolato.

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