Matteo Moretti

Matteo Moretti

Di formazione designer digitale, Matteo Moretti lavora come ricercatore a tempo determinato alla Facoltà di Design e Arti della Libera Università di Bolzano. Esplora nuovi metodi e pratiche per informare un pubblico sempre più distratto e a volte esausto, sovrastato da una pressione mediatica senza precedenti.

Coordina team interdisciplinari, composti da giornalisti, fotografi, videomaker e scienziati sociali, verso la produzione di nuove forme narrative, su tempi complessi come quelli sociali sono. “Da un lato l’obiettivo è quello di estendere le possibilità dei media attuali, andando ad ispirare chi lavora nel campo dell’informazione, dall’altro di contribuire alla ricerca sul design dell’informazione. I progetti che prendono vita diventano oggetto di studio all’interno di paper accademici nei quali rifletto sul processo o su qualche dettaglio in particolare. Infine, metto a disposizione quanto elaborato all’interno dei miei corsi con gli studenti e nelle loro tesi di laurea” spiega.

Matteo, sei un designer nominato ambasciatore del design italiano nel mondo dal Ministro degli Affari Esteri. Come è successo?
La cosa ha sorpreso anche me 🙂 Sono stato invitato dall’ambasciatore Italiano della Repubblica di San Marino per raccontare come il design possa assumere un ruolo “ulteriore” capace di supportare e facilitare i processi di integrazione, o di informazione. Il tutto attraverso gruppi di lavoro interdisciplinari, in grado di connettere e contaminare design, giornalismo e scienze sociali, verso la produzione di esperienze informative che possano restituire la complessità odierna in maniera più coinvolgente e allo stesso tempo più approfondita.

Visual journalism, data storytelling, and many other magic tricks (Giornalismo visivo, storytelling di dati e molti altri trucchi magici) si legge sul tuo sito. I trucchi magici di solito non si svelano… di solito, appunto… qui invece sì 😉
La cosa che mi ha sempre più affascinato dei trucchi magici è la loro semplicità, a volte devastante, rispetto all’effetto generato Spesso dietro alle grandi magie ci sono trucchi semplici. Questo è un po’ il senso della frase che ho coniato per il mio sito: la capacità di raccontare sorprendendo, creare stupore, immersione, empatia, con pochi fondamentali elementi, senza effetti speciali. Ad esempio, il progetto della “Repubblica popolare di Bolzano” è stato premiato con il prestigioso Data Journalism Award 2015, accanto a testate internazionali come il New York Times e il Guardian. Il premio è riferito alla migliore visualizzazione di dati dell’anno. Dovevamo rappresentare la proporzione di ristoranti cinesi e italiani a Bolzano, e invece di programmare complicate visualizzazioni di dati, abbiamo deciso di adottare uno stile meno astratto, verso una comunicazione più emotiva, capace di catturare l’attenzione ed emozionare, rimanendo di conseguenza più impressa nella memoria. Abbiamo così fotografato un paio di bacchette cinesi che si trasformano in forchetta per l’88.2%, tecnicamente parlando una gif animata che si avvia quando l’utente la inquadra scorrendo il progetto. (cfr http://www.repubblicapopolaredibolzano.it/)

cina bolzano

Visual journalism. Cos’è? Quali ruoli/professioni/settori vengono coinvolti?
Ci siamo appropriati di questo termine, che in realtà è stato inizialmente coniato per definire le prime forme di giornalismo fatte attraverso le immagini. Nella nostra accezione intendiamo la fusione tra Visual-Storytelling e Data-Journalism, spiego meglio: facciamo uso di dati all’interno dei nostri lavori, sono molto utili per analizzare, esplorare e visualizzare solo una parte del fenomeno trattato. Allo stesso tempo riducono fortemente l’aspetto umano, soprattutto quando ci si occupa di questioni sociali. Se pensiamo ad esempio al numero di migranti che sbarcano ogni anno, è si importante sapere quante persone sono sbarcate e dove, ma è decisamente limitante ridurre il fenomeno a questioni numeriche. Chi sono, cosa pensano di noi, dei valori europei, quanto si discostano dai nostri luoghi comuni, quali sono i loro sogni, ambizioni etc, sono aspetti altrettanto fondamentali per la descrizione di fenomeni complessi. Per quello affianchiamo alla pratica giornalistica sviluppata attraverso i dati, tutta una serie di competenze visuali come il design e, ad esempio, l’antropologia visiva. Una forma di produzione visiva che affonda le proprie radici nella pratica antropologica, che permette un’immersione, una condivisione ed intimità che il racconto giornalistico raramente può restituire. Sempre nella nostra accezione di visual-journalism è inclusa una forte componente interdisciplinare, sono convinto che una singola disciplina non sia sufficiente al racconto della complessità odierna, soprattutto se si cerca di smantellare clichés e/o narrazioni dominanti.

Che potenzialità ha il visual journalism?
Credo sia una naturale risposta al degrado informativo al quale siamo esposti quotidianamente come lettori. Il visual journalism riporta alla ribalta un giornalismo di qualità, non solo nei contenuti ma anche nelle forme, offrendo esperienze informative altamente immersive che possono contribuire al ripristino di un’informazione più “sana” (cit. Clay Johnson, “The Information Diet”).

Ma arriviamo a Design for Migration. Ti chiedo, anzitutto, di definirmi il progetto, da te creato, in tre parole.
Più giravo per eventi e conferenze a raccontare del mio lavoro, più incontravo altri designer che stavano facendo altrettanti lavori importanti, soprattutto in ambito migratorio. La migrazione, in Europa, è sempre esistita, anche con numeri maggiori di quelli odierni e spesso usata come strumento politico. Se pensiamo a come sia stata fortemente strumentalizzata all’interno del dibattito politico europeo degli ultimi anni, dalla Brexit alle elezioni in Austria, Francia, germania e Svezia, fino a quelle nostrane, diventa immediatamente chiaro come sia importante lavorare verso un’informazione più trasparente, nuove forme di incontro capaci di allentare la tensione, nuovi modi per facilitare l’abilitazione e l’integrazione di nuovi cittadini…. Molti dei progetti che ho conosciuto stanno funzionando molto bene, e meritano una maggiore visibilità. Non parlo solamente di promozione (che anche quella serve), ma parlo di tre punti fondamentali:
1. Dare nuova o ulteriore visibilità a questi progetti, a storie di successo, positive, a nuovi modi di affrontare il presente e il futuro;
2. Connettere i designer Europei che lavorano su questo tema: sono dei pionieri, e credo che la reciproca conoscenza possa solo arricchire le pratiche e magari dare vita a nuove collaborazioni e forme di progetto;
3. Ispirare un pubblico di designer, operatori sociali o semplicemente persone che sono attaccate al tema, mostrando loro cosa e come lo si sta facendo.
Il progetto sta funzionando: sono nate sia le prime collaborazioni tra progettisti, come alcuni di loro stanno venendo contattati come mentori/tutor da varie realtà interessate a intraprendere percorsi simili.

Questo spazio te lo lascio per raccontarmi Design for Migration e per spiegarmi il potere insito nel design per parlare di un tema tanto importante, quanto delicato, quale è la migrazione.
Credo che l’aspetto comune a tanti progetti così diversi sia quello di smantellare stereotipi e pregiudizi attraverso la decostruzione di percezioni distorte. La paura è una delle più grandi forze che abbiamo a disposizione. Presi dalla paura siamo capaci di cose incredibili, nel bene e nel male. La paura nasce dall’ignoto, da quello che non conosciamo, dando vita alle nostre peggiori fantasie. Per questo è importante conoscere e far conoscere. La conoscenza può passare attraverso la lettura, così come attraverso l’esperienza, il confronto. Diventa quindi fondamentale progettare le condizioni per far sì che questo avvenga, progetti che ci espongano alla diversità, alla complessità, verso la de-costruzione di muri fisici, sociali e mentali.

Design for migrationRisposte bruciapelo a pregiudizi comuni. Cosa rispondi a:
– i cinesi ci copiano
Direi che ora ci hanno superato, su molti aspetti.
– i migranti? aiutiamoli a casa loro
Anche, capiamo cosa significhi e come.
– l’Italia si deve sempre far carico di tutto sul fronte migrazione
Negli ultimi anni, quello che ho visto e vedo, è un paese che non vuole farsene carico.

Hai parlato, in un tuo speech al TedxArezzo, di un modo di fare informazione, oggi, un po’ ambiguo. Aggiungiamoci le molte fake e junk news che circolano. Che risultato otteniamo? Come la combattiamo questa disinformazione?
Sarebbe bello avere la soluzione. La questione è complessa: da un lato troviamo una grande fetta di lettori che si fermano ai titoli, sprovvisti di un approccio critico all’informazione, poco propensi alla conoscenza, quanto invece all’affermazione della propria posizione a tutti i costi. Dall’altro un sistema informativo in cui spesso viene dato precedenza al click sulla news, a discapito dell’accuratezza, della qualità di approfondimento, della completezza e della professionalità (e qualche volta anche alla deontologia). Sono poche le testate che non cedono alla tentazione di sedurre i lettori con titoli ammiccanti o fuorvianti, del click facile. Non c’è la soluzione, ma una serie di strade da intraprendere. Da un lato credo si debba ripristinare l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole, verso lo sviluppo di un approccio critico alla quotidianità, l’informazione, e capire come trasmettere tutto ciò non solo ai giovani ma anche ai 50/60enni che popolano lo spazio digitale. Dall’altro serve ripristinare un’informazione di qualità, capace di riconquistare la fiducia dei lettori sempre più abbandonati a se stessi. Non è un caso che l’Italia sia risultato tra i paesi con la percezione più sfalsata sul tema migratorio (https://www.vice.com/it/article/594ven/percezione-realta-immigrazione-italia), si parla di anni di narrazioni a supporto della famosa invasione, di strumentalizzazioni e leggerezza.

In un altro speech, questa volta al TedxPotenza, hai mostrato un video di ringraziamento che un migrante rivolge all’Europa. E te? Cosa ti senti di dire all’Europa?
Durante il film “the great european disaster movie” uno degli intervistati raccontava: “Se c’è qualcosa che non va in Italia, non scendi in piazza chiedendo di distruggere l’Italia, ma chiedi di risolvere il problema”. Ecco, l’Europa non è perfetta, c’è tantissimo da fare, ma non per questo va distrutta. Gli interessi economici prevalgono spesso su quelli etici e umanitari ma, ad esempio, è stato finalmente approvato il primo provvedimento nei confronti del Governo ungherese che intacca lo stato di diritto nell’Unione europea, nonostante un ritardo di qualche anno. Serve più Europa: confido nelle nuove generazioni e in politici capaci di produrre una visione di ampio respiro.

Che cambiamento vuoi apportare nel mondo?
Urca! Sono combattuto. Sarebbe bello se fossimo in grado di superare le micro-divisioni, saper guardare avanti, con visioni di lungo respiro, che attualmente mancano.

Se tu avessi un superpotere, quale sarebbe?
Tanti, troppi… come fare a decidere? Il volo, ma anche l’invisibilità… la lettura della mente, ma forse più di tutti viaggiare nel tempo, mi è sempre piaciuto fare e disfare le cose 🙂

La “fake news” più “divertente” che tu abbia mai letto?
– «Il volto di Padre Pio sul portone dopo il terremoto», ma la realtà è quella svelata da un flash.
– Tarquinia, dromedario scappa dal circo, irrompe nel campo di cocomeri e fa una scorpacciata.
– Viterbo, in cattedrale arriva l’aperiMessa: dopo la funzione «un momento di fraternità».

Pro e contro dei principali social:
– Facebook
Pro: Come dicono i giovani: “è un social network per vecchi”. Ho 41 anni e mi trovo a mio agio, forse dovrei qualcosa da tutto ciò…
Contro: Tra qualche anno sarà il più grande cimitero online.
– Instagram
Pro: tante belle immagini e video.
Contro: appena esco dal seminato trovo troppi morti di fama.
– Twitter
Pro: ottimo per networking, spunti e link interessanti
Contro: Le discussioni.

Sempre nel tuo speech al TedxArezzo citi il libro “The Information Diet” di Clay Johnson, libro che fa un parallelismo tra cibo e informazione: “Se siamo quello che mangiamo, siamo anche quello che leggiamo”. Il messaggio che trasmetti è quello di nutrirsi di buona informazione. Ma facciamo un passo oltre…
Qual è il tuo piatto preferito? Quale il tuo libro preferito? E, a questo punto, cosa serviresti ai tuoi commensali, un nutrito gruppo di giornalisti, cinesi, migranti e sostenitori del #frontierechiuse?
Non ho “il” piatto/libro/album preferito. O meglio, i gusti cambiano in base al tempo, l’età, le esperienze. Posso comunque affermare con serenità che mangiare il castagnaccio è sempre un gran piacere, anche un calamaro ripieno, una ciotola di Tako-Wasabi o di Ika-Natto non le rifiuterò mai…
Anche sui libri ho avuto parecchi amori, ma forse i più duraturo è sempre “Favole al telefono” di Gianni Rodari (nella versione illustrata da Munari).
Ai giornalisti, cinesi, migranti e sostenitori delle frontiere chiuse servirei un piatto di spaghetti al pomodoro, o una pizza, piatti che della nostra tradizione identitaria, che senza le migrazioni non avrebbero potuto esistere.

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