La Tata Maschio

La Tata Maschio

Domani, martedì 20 novembre, si festeggia la giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Lorenzo Naia, in linea, lancia un hashtag, #diventiamopiccoli, con un invito: quello di recuperare una foto o un oggetto di quando eravamo bambini e di dedicare, a quei se stessi di una volta, delle parole.

“Si ragiona sempre sul diventare grandi – è il suo commento -. Questa volta il processo è esattamente l’inverso”.
Ma cosa c’entra Lorenzo con i bambini? Lui è La Tata Maschio. È conosciuto così nei social… e nella vita. Quella vita fatta di tanti pezzetti. “Se mi chiedono cosa faccio, rispondo gioco a tetris, perché la mia esistenza è tutta un incastro”. E così approfondiamo le diverse sfaccettature di Lorenzo con una lunga e piacevole chiacchierata telefonica.

Lorenzo, chi sei veramente?
Ho lavorato tanti anni con i bambini e con le famiglie. Ora mi divido principalmente su tre binari: il primo è quello di autore di libri per bambini e ragazzi e di supervisore di testi altrui, il secondo è quello di creative director, collaboro con aziende come consulente per la produzione di materiale per l’infanzia, il terzo binario è relativo all’organizzazione di eventi per famiglie, come i Safari Urbani, tour guidati alla scoperta dei centri storici. Di fondo, comunque, lo spirito rimane sempre quello di tata. Tutto ciò che è nato è una declinazione dell’essere tata.

palloncino tata

Educare oggi. Come si fa? Quanto è difficile? Quali sono gli ostacoli da superare?

L’educazione è una fatica che vale sempre la pena fare, perché è l’unico strumento che abbiamo per migliorare le cose. Io credo che la sfida più grande oggi sia la definizione dell’identità personale nel processo di crescita. Dobbiamo riuscire a liberarci degli schemi sociali che sì, in qualche modo rassicurano, ma che allontanano l’individuo dall’autodeterminazione, dalla libera espressione, dalla manifestazione felice e autentica di sé.

E chi dovrebbe educare oggi?

Io parlo sempre di corresponsabilità. Tutti siamo ugualmente responsabili in quanto adulti. Spesso non pensiamo che anche il nostro comportamento e il nostro uso degli spazi pubblici già di per sé è un modo per fare educazione. Poi c’è chi ha un ruolo preponderante, come genitori e insegnanti, ma se tutti noi facciamo il nostro pezzetto, le cose possono prendere un’altra direzione.

Il tuo rapporto con il mondo dell’infanzia da dove ha origine? Perché ci sei così legato, tanto da farne una professione?

Pur non lavorando più in prima linea con i bambini, rimango tata maschio inside! Tutto ciò che faccio è una declinazione diversa dello stare con i bambini. Ho iniziato nei primi anni 2000, molto giovane, con esperienze di volontariato. Ho capito ben presto che per me questa poteva essere una professione e così ho intrapreso gli studi di psicologia. Da sempre dentro di me convivono due anime che rispecchiano la mia formazione: sono laureato in psicologia della comunicazione, ma ho approfondito la psicologia dello sviluppo e dell’educazione. Per molti anni ho lavorato come tata nelle famiglie, poi ho aperto un centro educativo, con una mia compagna di studi, dove organizzavamo attività extra scolastiche. Il centro è tuttora attivo, grazie alla buona volontà di altri ragazzi che hanno collaborato con noi. Parallelamente ho approfondito altri aspetti, come il parent coaching, una forma di consulenza per i genitori che affrontano i momenti critici di sviluppo dei loro figli. Poi, avendo sempre maneggiato libri per bambini, ho iniziato a produrre testi miei e mostrarli a editori. Da lì in poi la scrittura ha avuto il sopravvento ed è diventata il mio attuale lavoro. Il blog e i social hanno creato un cortocircuito e fatto in modo che tutte queste passioni si potessero unire.

illustrazione

Hai iniziato, in sostanza, come “baby-sitter”, tra pannolini e compiti. Quali reazioni, in quanto “tata maschio”, hai raccolto attorno a te?
Ho scelto questo nome come manifesto, perché da sempre ho voluto combattere, nel mio piccolo, gli stereotipi legati a questa professione. Quando ho iniziato, nei primi anni 2000, come tata maschio in una realtà di paese, guardavo due bambini nati da una coppia mista (mamma africana e papà occidentale) e ti assicuro che non passavamo inosservati! Ma quella è stata per me l’Esperienza per eccellenza. 
Io comunque noto ora principalmente due cose: i pregiudizi sono di più di quelli che si danno a vedere, perché è ancora difficile andare a scardinare certi meccanismi culturali. Ora, rispetto agli anni 2000, è un po’ più normale sentire parlare di tate maschi o vedere i papà che si comportano in maniera diversa, rispetto un tempo, con i figli. Ho visto un’evoluzione in questo, ma c’è ancora strada da fare. 
La prima reazione di fronte una tata maschio rimane sempre quella di perplessità. Ma se hai la possibilità di farti conoscere, le persone imparano a guardare la tata oltre l’identità di genere.

Parli di piccoli e di grandi. E tu cosa vuoi fare “da grande”? Chi vuoi diventare “da grande”?
Osservando il mio percorso a ritroso, posso dire che periodicamente l’ho rinnovato, pur avendo un fil rouge legato all’ambito infanzia e famiglia. Cerco di rinnovare le cose per non andare avanti con inerzia. Io sono sempre una tata, anche se la forma cambia. Da grande mi vedo comunque lavorare ancora in ambito editoriale e con le aziende. L’elemento che si è aggiunto in questi ultimi anni è fare la tata anche con i grandi. Lavoro con gli adulti, faccio formazione con la scrittura, attraverso workshop e consulenze. È uno stare assieme attraverso l’attività creativa.

tata aerei

A proposito di #diventiamopiccoli. Se incontrassi oggi il “te piccolo”, cosa gli diresti?

Gli direi di essere un po’ meno fifone. Lo sono stato e lo sono tuttora.

Non si direbbe…

Non si direbbe perché alla fine sono testardo e se voglio fare qualcosa, nonostante la paura, la faccio. E, dal momento che sono sempre stato un bambino sensibile e molto profondo, gli direi anche di non perdere questo carattere.

Da Tata Maschio, posso chiederti un commento sul ruolo della figura maschile nella crescita di un/a bambino/a?

Quello che mi ha insegnato il Nord Europa, esempio virtuoso in questo ambito, è proprio il fatto di considerare non solo normale la presenza di un uomo in ambito educativo, ma anche un valore aggiunto per la collettività.

Non solo bambini, ma anche scrittura. Come è nata questa passione e da dove prendi ispirazione per le tue “storie che prendono forma ed edizioni limitate con qualcosa da raccontare”?

Credo che ognuno di noi abbia un canale privilegiato per dare un senso all’esperienza. Per me la scrittura è un modo per interpretare quello che capita. In un testo scritto ritrovo quel significato che vado cercando. Le storie nascono da quello che vedo, ma al tempo stesso quello che racconto plasma la realtà. È un binario a doppio senso. È un mutuo scambio tra me e il resto.

Completa:

– Torino, per te, è… la mia città. Una città che non smette di stupirmi. È la casa dove mi piace tornare.

- Una città a misura di bambino… Copenaghen.
– Vorrei fare la tata… come ragazzo alla pari in una famiglia all’estero.

architettura

Il progetto che hai nel cassetto e non vedi l’ora veda la luce?

Sto lavorando a un romanzo per ragazzi, ambito nuovo per me, perché fino ad ora ho fatto cose per bambini legate all’illustrazione. Ora il progetto editoriale è più corposo.

La cosa più buffa che ti ha detto un bambino? E, per par condicio, la cosa più buffa che ti è stata detta da un genitore?

Argomento strafalcioni dei bambini:
«Cosa vuol dire “carestia”?».
«Significa mancanza di cibo»
.
«Ah ecco… a casa mia ogni tanto la mamma non fa in tempo a fare la spesa e c’è la carestia».

Per quanto riguarda i genitori, fu così che – durante un “aggiornamento” sulla situazione compiti di geografia – lo Stretto di Bering si trasformò nello Stretto di Bari!

Una fiaba tradizionale che ami particolarmente: Mignolina, perché legata a uno dei libri che ho pubblicato, “Fiabe in rosso”, che “parla” di lotta alla violenza contro le donne.

Una fiaba, invece, che non ti piace. Le fiabe sono figlie del loro tempo e spesso hanno un gusto che per noi, oggi, è lontano. Non mi piacciono le fiabe cruente, a cui non siamo più abituati.

Hai il potere di trasformarti in un personaggio delle fiabe. In chi ti trasformi? E, al contempo, hai un potere di uno dei personaggi delle fiabe. Quale hai scelto?
Mi piacerebbe vedere il mondo da un’altra prospettiva, quindi vorrei diventare Pollicino, oppure mi piacerebbe volare e osservare il mondo dall’alto.

salto tata

A chi ti senti di dire grazie?

Ai lettori della prima ora che hanno intravisto qualcosa di buono in me e nei miei progetti.

Siamo tutti un mix di emozioni e sentimenti. In te cosa prevale in questo periodo?

Non ti nascondo che la mia professione è schizofrenica, fatta di momenti di solitudine, perché lavoro da solo, non ho colleghi, e momenti di elevata socialità, tra saloni, presentazioni o eventi… Tra ciò che prevale in questo periodo c’è l’impegno, il fatto di focalizzarsi sugli obiettivi e il senso di responsabilità. Tra gli aspetti più gioiosi c’è la parte creativa che mi stimola sempre e l’incontro con tante persone bellissime.

Nel tuo blog affermi questo “Spesso vorremmo consegnare ai bambini un mondo completamente a posto”. Cosa, in realtà, di cui loro non hanno bisogno. Cosa dovremmo consegnare loro, invece?
Dovremmo consegnare loro un mondo che non si sottrae alle proprie responsabilità, in cui ciascuno fa il proprio pezzo.

Ami il potere delle storie e delle parole. A proposito di parole, la tua parola dell’anno?

Più che una parola, ho un mantra: il mondo ha bisogno di cose finite. Per un perfezionista è una cosa da ripetersi, perché siamo sempre alla ricerca della cosa perfetta, quando spesso c’è bisogno di una cosa finita. Solo se si finisce qualcosa, la si rende fruibile.

E a proposito di storie, qual è il loro potenziale? Qual è, in sostanza, il loro potere magico, per te?
Il punto di forza delle storie, per me, è quello di farci vivere tutte le vite che vogliamo!

La Tata Maschio nei social

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