“Lo so, è ormai abusata come espressione, ma è la verità: sono la somma di tutte le mie esperienze”. Romina Lombardi esordisce così nella nostra intervista e parla di una vita, la sua, bella, ma anche travagliata.
Ragazza bullizzata, a 19 anni lascia Lucca, la sua città natale, per studiare giornalismo a Roma. Si ferma nella capitale dove, dopo un feroce alterco con un professore che aveva destinato ad altri il privilegio, riesce a fare, attraverso l’università, uno stage all’agenzia di stampa Ansa e, dopo 6 mesi, viene assunta.
“La metafora della mia vita è che ho sempre dovuto spaccare il mondo per ottenere qualcosa. Sai, non sono figlia di nessuno. Anche se sono figlia di gran padre (e madre!). Che fatica non essere raccomandati, ma che soddisfazioni”.

Romina, nel giro di 39 anni, ha vissuto a Lucca, Roma, Vicenza e Brescia. Le parole sono il suo pane quotidiano. La passione per loro si trasforma presto in professione: giornalista dal 2006, esperta di comunicazione, organizzatrice di bellissimi eventi culturali, non da ultimo Lucca città di carta, e da un anno a capo di un significativo progetto editoriale, L’Ordinario.
Nel mezzo, 5 festival, tante campagne di comunicazione, tre anni di lavoro e volontariato in una casa famiglia per detenuti in pene alternative di Vicenza, tanti progetti sociali e un libro pubblicato, ‘Giovani Inversi’ – illustrato dall’artista Alice Walczer Baldinazzo – che ha vinto il Premio Books for Peace 2019 e che è diventato un tour e un progetto contro il bullismo nelle scuole.
Romina e Alice (a dx) durante uno speciale a RadioBresciasette con Maddalena Damini Premio Books for Peace 2019
Tante esperienze, una Romina.
Alla Romina vittima di bullismo alle scuole medie, cosa vorresti dire oggi?
Pensavi di essere diversa, ed è vero. Quella diversità, però, ti ha portato ad essere quella che sei oggi.
Alla Romina attuale cosa vorresti dire?
Tieni duro che ci siamo.
Alla Romina di “domani” cosa auguri?
Da 30 anni mi alzo ogni mattina con in testa, ben chiari, i miei sogni e vivo in funzione di quelli. Alla Romina di domani farei vedere l’immagine di se stessa seduta su una sedia a dondolo, su una veranda di legno, in mezzo al verde, che sta preparando il nuovo libro, sta chiudendo il giornale ed è appena rientrata da un tour in giro per l’Italia di presentazioni, incontri e appuntamenti: energia pura. Il contesto bucolico, ossia la campagna, per me, rappresenta il raggiungimento della serenità nel cuore.

Cosa ti piace del mondo delle parole, della scrittura?
Mi piace la capacità estrema che ha un estraneo di scrivere qualcosa che ti rappresenta meglio di qualsiasi cosa potrebbero dire le persone che ti conoscono, nonché la capacità di far scaturire una serie di emozioni e di riportarci all’essenza più vera di noi stessi.
Come scrivi?
Ho un problema di fondo: le idee migliori mi vengono o in macchina, mentre guido, o in vasca da bagno, due situazioni in cui è difficile prendere appunti. Comunque io immagino e vivo come in un film tutto quello che andrò a scrivere e poi lo metto nero su bianco. Se riesco, mi isolo dal mondo per giorni. Per scrivere bene ho bisogno di un’immersione completa nella storia, perché devo vivere le emozioni che sto descrivendo.

Hai seguito, come Ufficio Stampa, le edizioni 7 e 8 del Grande Fratello. Cosa ti porti da quell’esperienza?
Il Grande Fratello era una realtà che non conoscevo. Avevo solo intravisto la prima edizione. Molti hanno pregiudizi verso un programma che sicuramente in qualche momento cade nel trash ma che, a livello lavorativo, è una macchina pazzesca. Eravamo in 300 persone a lavorarci: la Casa del Grande Fratello sul cocuzzolo di Cinecittà, gli uffici tutt’attorno. Una vera e propria cittadina dove si lavorava, di media, 15 ore al giorno. Avevamo la grossa responsabilità di tutto ciò che usciva sui giornali, fotografie comprese. Lì dentro ho conosciuto le mie più care amiche, perché sì, anche nei luoghi di lavoro possono nascere grandi amicizie. Il nostro lavoro di redazione, insieme a quello di tutti gli altri settori, era, in pratica, un altro Grande Fratello: eravamo una famiglia.

Hai collaborato con grandi festival, come il Festival Biblico in Veneto, solo per citarne uno vicino a noi.
E finalmente hai ideato un tuo festival, Lucca Città di Carta. Raccontaci come è nata l’idea e che obiettivi si prefigge.
Sono due anni che rifletto, assieme al Presidente di Nati per Scrivere Alessio Del Debbio, sull’importanza dello scambio culturale: è la formazione primaria di educazione civica per le persone. Lucca è oggi famosa per il Lucca Comics e per il Lucca Summer Festival. Manca, secondo noi, nella città storica, la parte più culturale. Abbiamo iniziato a pensare a un possibile Festival dedicato al mondo del libro. Da più parti sono arrivate richieste, collaborazioni ed entusiasmo, alla fine abbiamo deciso di renderlo davvero concreto grazie anche alle persone delle nostre due associazioni culturali. Nasce così il Festival Lucca Città di Carta.

L’anima sarà quella dell’incontro: il pubblico sarà protagonista interagendo con tutti gli eventi. Questo deve fare la cultura per essere viva, non essere una vetrina.

La location sarà una dimora storica in centro città. Si intrecceranno questi aspetti: fiera del libro, presentazioni, workshop di comunicazione e giornalismo, laboratori per bambini, speed date con autori, concorsi letterari e fotografici… e un settore dedicato alla carta, con artisti che la maneggiano, ricostruzioni storiche di chi la lavora, laboratori dedicati… e poi, ancora, spazio a illustratori, fumettisti, pittori, artisti su carta.

Inarrestabile, hai ben pensato di fondare anche il progetto culturale-editoriale L’Ordinario. Come lo descriveresti in 5 parole?
Etica, sociale, insieme, umanità, futuro.
L’Ordinario è un progetto folle, perché nasce a partire dalla considerazione che il giornalismo non è morto, ma ha perso molta della sua valenza. Ho chiamato, così, a raccolta le persone migliori – a livello umano e professionale – che ho incontrato nel mio percorso, e ho chiesto loro di unire le forze per creare un giornalismo che parli davvero di quello che conta. Senza indugiare, hanno tutti accettato con immenso entusiasmo. Al momento è un lavoro volontario, ma fatto da persone eccezionali che ci credono fortemente e che hanno una missione: arrivare con il buon vecchio giornalismo, quello del reportage e dell’approfondimento, a trattare argomenti – di cui non si occupano i mass media – che hanno a che fare con il quotidiano e con le persone straordinarie che ci sono.

Completa:
– un libro da leggere: “Venuto al mondo”, Margaret Mazzantini
– un libro da ri-leggere: “I pilastri della terra”, Ken Follett
– un libro da evitare come la peste: Non saprei dirti, perché li evito a monte
– un libro per sognare: “L’ombra del vento”, Carlos Ruiz Zafón
– un libro per tornare con i piedi per terra: “Memorie di una Geisha”, Arthur Golden.
Ma il mio preferito è “Il Petalo Cremisi e il Bianco”, Michel Faber.

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